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L’Eurozona crea gli strumenti per la crescita: meglio che l’Italia non si tiri fuori!

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Fin dal Trattato di Maastricht i federalisti europei hanno sostenuto che un’unione monetaria in assenza di un’unione economica e politica non avrebbe potuto reggere nel lungo periodo. La crisi finanziaria del 2008 e poi quella dei debiti sovrani l’ha dimostrato abbondantemente. I Rapporti dei 4 Presidenti del 2012 e quello dei 5 Presidenti del 2015 lo hanno riconosciuto e hanno indicato le riforme necessarie, ma è mancata la volontà politica degli Stati membri. Soprattutto non si è mai avuta una piena convergenza e fiducia tra Francia, Germania e Italia. All’inizio il problema era l’Italia di Berlusconi. Poi la Francia di Hollande. Ora nuovamente l’Italia con Salvini e Di Maio. Molti speravano che il 2017-2018 fosse il momento giusto, dopo le elezioni in Francia e Germania. Ma la spinta riformista di Macron è stata neutralizzata dalla paralisi seguita alle elezioni tedesche e dai lunghi mesi necessari a formare un governo. Nel frattempo le elezioni italiane hanno sparigliato ulteriormente le carte.

Così, dopo la nascita del governo giallo-nero tra il M5S e la Lega nell’Unione Europea c'è stata una pausa di riflessione rispetto alla riforma dell'eurozona e alla proposta di Macron di un bilancio dell'eurozona aggiuntivo rispetto a quello dell'Unione. Da tempo si discute di crearlo come fondo ad hoc nel quadro del bilancio UE – e quindi gestito dalla Commissione e controllato secondo le regole europee - ma con risorse aggiuntive rispetto al bilancio europeo, che è circa l’1% del PIL. Il bilancio dell’eurozona serve a promuovere la convergenza nell’unione monetaria attraverso investimenti e il co-finanziamento delle riforme strutturali. L'Italia da anni spinge in questa direzione, e i partner hanno atteso di capire le intenzioni e le scelte del nuovo governo prima di valutare se e come procedere.

La proposta franco-tedesca sul bilancio dell’eurozona mostra che la riflessione si è risolta con una decisione di procedere, nonostante l’Italia. L’idea è che le risorse di questo bilancio aggiuntivo per investimenti potranno essere utilizzate solo a vantaggio dei Paesi che rispettano le regole su cui si fonda e regge l’unione monetaria. Ecco dunque la risposta europea alla sfida nazionalista del governo italiano: rafforziamo l’eurozona, ma in modo che responsabilità e solidarietà vadano insieme. Chi viola le regole e sostiene di infischiarsene delle norme europee, non può poi contare sulla solidarietà europea: se spacchi tutto, non chiedere agli altri di ripulire i cocci.

È anche una risposta al richiamo di Mario Draghi del 16 novembre. Il Governatore oltre ad ammonire i Paesi più indebitati sulla necessità di ridurre il debito e sui danni prodotti dal mettere in questione le regole dell’unione monetaria, aveva anche sottolineato l’urgenza di completare l’unione bancaria, economica e monetaria, perché “più Europa” è il miglior strumento per far fronte alle crisi e alle difficoltà.

Il bilancio dell’eurozona favorirà la convergenza favorendo investimenti e crescita. E può essere uno strumento di riduzione del danno nel caso in cui il governo italiano dovesse andare avanti violando le regole e gli impegni presi con una politica economica che già in passato ha dato esiti disastrosi, quando il centro-destra tra il 2008 e il 2011 fece una politica espansiva, azzerando l’avanzo primario e alzando il deficit. Il risultato fu che la recessione colpì l’Italia in modo molto più profondo degli altri Paesi europei, lo spread arrivò a 565 e il Paese a un passo dal default. A quel punto il centro-destra, pur avendo la più larga maggioranza parlamentare della storia non volle “metterci la faccia”: Monti fu chiamato a un’azione di risanamento durissima, con i voti di quel Parlamento! Ma gli italiani non se la presero con chi causò il disastro, bensì con chi dovette porvi rimedio. I nazionalisti sperano che nuovamente gli italiani se la prendano con chi dovrà affrontare le conseguenze drammatiche di questa manovra e puntano allo scontro con l’UE per cavalcare una propaganda nazionalista in vista delle elezioni europee.

È paradossale che nel momento in cui finalmente si va in una direzione necessaria e che l’Italia chiedeva da tempo – inclusi, almeno a parole, anche autorevoli esponenti di questo governo – proprio il nostro Paese rischi di non poter usufruire dei nuovi strumenti. Salvini minaccia pure di mettersi di traverso, dimostrando che il suo intento non è cambiare l’Unione perché si concentri maggiormente sulla crescita – obiettivo del bilancio aggiuntivo - ma distruggerla.

Il governo italiano prende in giro i cittadini e le istituzioni italiane (visti i rilievi mossi da Ufficio parlamentare di bilancio, Banca d’Italia, Corte dei conti, Istat, INPS, ecc.) ed europee formulando un bilancio fondato su previsioni di crescita e coperture (1% di PIL da privatizzazioni in un anno) del tutto irrealistiche e in palese violazione delle regole europee e degli impegni presi da questo stesso governo a giugno. La crescita dipende dagli investimenti. Il nostro governo prevede 42 miliardi di deficit, di cui solo 5 in investimenti. Il Fondo Europeo per gli Investimenti Strategici – il Piano Juncker - in quattro anni ha mobilitato 50 miliardi in Italia. La Banca Europea degli Investimenti, che lo gestisce, ha mobilitato complessivamente quasi 350 miliardi, più dei 315 previsti inizialmente fino al 2019 e che molti ritenevano impossibili. Al contrario l’Italia non riesce a usare i fondi europei per gli investimenti a sua disposizione. E tra gli stanziamenti per gli investimenti decisi dal governo e la loro effettiva attivazione passano anni.

Va ricordato inoltre che i contributi nazionali al Piano Juncker – e probabilmente quelli al bilancio aggiuntivo dell’Eurozona quando sarà creato – sono scorporati dal calcolo del deficit strutturale. È una sorta di “golden rule” sugli investimenti, ma applicata a livello europeo per evitare che i governi nazionali spaccino per investimenti la spesa corrente. Tra il Fondo Europeo per gli Investimenti Strategici e il bilancio dell’eurozona l’Unione fornisce gli strumenti per rilanciare investimenti e crescita senza aumentare il deficit e spaventare i mercati. Non è affatto vero dunque che l’Unione predica solo rigore e austerity. D’altronde, andando a vedere le raccomandazioni europee all’Italia degli ultimi anni troviamo tra le altre cose la riforma della pubblica amministrazione, sveltire la giustizia, ridurre le tasse sul lavoro e aumentare piuttosto quelle sulle rendite, introdurre strumenti universali di lotta alla povertà (il Governo Gentiloni ha introdotto il Reddito di inclusione, che il M5S vuole rafforzare con l’idea del Reddito di cittadinanza), e usare di più e meglio i fondi europei.

Insomma, l’Unione rafforza i propri strumenti per garantire investimenti e crescita, per chi rispetta le regole comuni. Basterà questo a far rinsavire il governo e spingerci verso una politica fiscale più responsabile, in linea con le norme europee e la Costituzione, e che porti davvero alla crescita? O l’interesse di bottega dei partiti di governo spingerà comunque verso uno scontro con l’UE da usare in campagna elettorale, anche a costo di scelte politiche masochiste rispetto al disperato bisogno di investimenti e crescita dell’Italia? Lo scopriremo presto.

@RobertoCastaldi

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