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Le elezioni italiane viste dagli altri europei

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Nel 2017 italiani ed europei hanno osservato attentamente le elezioni nei vari Paesi, dove lo scontro tra nazionalisti ed europeisti è risultato centrale. È logico, perché il destino comune – legato alla riforma dell’Unione Europea (UE) e in particolare al completamento dell’Unione economica e monetaria - dipende anche dalle scelte politiche di ciascun Paese. Ora l’attenzione europea è focalizzata sull’Italia, le cui elezioni chiudono il ciclo elettorale dei maggiori Paesi europei, dopo le elezioni francesi e tedesche.

Colpisce gli europei il fatto che nella campagna elettorale italiana ciascuno parli indipendentemente da quanto detto e fatto in precedenza, come se i fatti non contassero nulla a fronte di parole e promesse nuove o reiterate. Si finge di non sapere che lo scudo della BCE sta per finire e che con il debito pubblico al 134% del PIL basterebbe un piccolo aumento dello spread per far saltare i nostri conti pubblici, mettere in crisi la ripresa e i progressi fatti. Molti fanno promesse elettorali costose e irrealizzabili. L’Italia è grande: in caso di crisi non sarebbe salvabile dal Meccanismo Europeo di Stabilità, e potrebbe far saltare la moneta unica. Ecco perché la stabilità italiana è un bene prezioso per tutti gli europei. La moneta unica ci lega in un destino comune. Dopo quasi 70 anni di integrazione siamo, volenti o nolenti, interdipendenti – come sta mostrando la complessità della Brexit.

Un attento osservatore delle vicende europee come Edmond Alphandery - già ministro dell’economia gaullista e presidente di EDF, il colosso energetico francese – sostiene che “la posta in gioco per l’UE alle elezioni italiane è alta. In una fase di crescita del populismo in Europa, saranno una cartina di tornasole rispetto al sentimento anti-europeo, dopo l’elezione di Emmanuel Macron in Francia. Il contesto economico è migliorato, ma la sfida delle migrazioni rimane centrale, specialmente in Italia. Da questo punto di vista le elezioni amministrative in Sicilia non hanno offerto un segnale incoraggiante. Abbiamo bisogno che l’Italia, uno dei Paesi fondatori della costruzione europea, rimanga una sostenitrice coraggiosa dell’Unione Europea”. In Sicilia ha vinto il centro-destra, eppure un gaullista non li considera risultati incoraggianti. Da un lato ciò è legato al successo del M5S, che è risultato il primo partito. Dall’altro pesa probabilmente la linea anti-europea della Lega, e il fatto che Berlusconi talvolta abbia parlato di doppia moneta – un’assurdità economica e giuridica. D’altronde, l’ultima volta che il centro-destra fu al governo lasciò l’Italia con lo spread a 565 a un passo dalla bancarotta, bisognosa di una cura da cavallo di austerità di cui non volle prendersi la responsabilità. Dovette farlo Mario Monti, con un sostegno trasversale, ma in un Parlamento con una maggioranza di centro-destra e in cui il PDL lo costrinse a stravolgere i provvedimenti - ma a saldi invariati per evitare il peggio. Anche se ora FI attacca quelle decisioni come se non fossero anche farina del suo sacco. Chi lo ricorda non può non essere preoccupato. Eppure Berlusconi sa che non si governa senza l’UE e punta sull’europeismo per distinguersi dalla Lega e dal M5S, e quindi su Tajani, il più credibile nel centro-destra sul piano internazionale.

Secondo Ulrike Guerot, politologa tedesca fondatrice del Laboratorio per la Democrazia Europea di Berlino, “si è molto discusso del populismo in Francia, Olanda e Polonia. Ma l’Italia, uno dei Paesi fondatori, sembra essere il prossimo difficile caso. Oltre a una crisi bancaria non del tutto risolta, il M5S sta diventando il primo partito, una sorta di indistruttibile Berlusconi torna sulla scena, e il movimento una volta secessionista della Lega Nord si rafforza. Sembra si siano nascosti gli europeisti italiani con l’eccezione di Emma Bonino: dove sono? E il problema più grave è che nessuno osa dire che l’erosione del sostegno per l’UE in Italia è una delle preoccupazioni maggiori in Europa, dove tutti vivono nella nostalgia di un’Italia storicamente sempre molto europeista”. Nei Paesi occidentali si è costretti a lasciare la vita politica per un plagio o un rimborso spese errato; sembra dunque incredibile che Berlusconi, condannato in via definitiva per gravi reati, possa avere un ruolo politico centrale, addirittura figurare nel simbolo elettorale pur essendo incandidabile ed essendogli precluso qualunque incarico pubblico. E colpisce la scelta di molte forze politiche di inseguire i populisti, come se non avessero compreso la lezione di Macron - si può vincere solo con una proposta europeista seria e radicale - e non vedessero i benefici venuti all’Italia dall’integrazione europea. Eppure vasta eco hanno avuta una serie di Appelli europeisti rivolti ai candidati, tra cui quello del Movimento Federalista Europeo, fondato da Altiero Spinelli nel 1943, “Per un'Europa federale: le responsabilita dell'Italia cui hanno aderito candidati di molti partiti. A testimonianza che anche in partiti con posizioni ambigue permane un dibattito e personalità non disponibili a una deriva nazionalista.

Secondo il filosofo spagnolo Daniel Innerarity, una delle voci più autorevoli del dibattito europeo, “in queste elezioni italiane sono in gioco molte questioni europee. È fondamentale vedere se ne uscirà un governo italiano europeista e ciò bilancerà due aspetti che sono di grande importanza per l'Europa: completare l'asse franco-tedesco con un grande Paese meridionale e correggere dal centro-sinistra un'Europa che ora è a egemonia conservatrice”. Gli europei di orientamento progressista sperano nell’Italia. Ma la sinistra italiana sembra del tutto inconsapevole della partita europea, preferendo impegnarsi nella resa dei conti con Renzi, anche a costo di portare ad un governo nazionalista e anti-europeo con danni incalcolabili per l’Italia. La Costituzione vieta i referendum sui Trattati internazionali e basterebbe una maggioranza parlamentare spuria tra M5S, Lega e FdI per seguire il Regno Unito fuori dall’UE e dall’Euro. D’altronde, alcuni esponenti della sinistra, come Fassina e altri, sono su posizioni no-euro. Come se il maggiore successo storico del centro-sinistra non fosse proprio la partecipazione alla moneta unica grazie a Prodi e Ciampi. Molti confidano nel fatto che ultimamente Salvini e Di Maio abbiano attenuato la loro retorica anti-europea, per tranquillizzare i mercati e i governi europei. Ma è una mossa tardiva e ambigua, che non rassicura le cancellerie europee e che non muta il loro vero orientamento, come dimostra la proposta leghista di avere Bagnai ministro dell’economia, o quella grillina presentata al Senato di inserire nei Trattati europei una procedura per uscire dall’Euro – dato che oggi si può uscire solo dall’Unione in quanto tale.

Imprigionata in una mentalità nazionalista e provinciale la nostra classe politica non si accorge del momento storico: Macron ha scommesso la sua presidenza sulla riforma dell’UE, proponendo di condividere la sovranità su difesa, economia e migranti, da cui l’Italia ha da guadagnare più di tutti perché è la più esposta su questi temi. La Germania con la grande coalizione ha risposto positivamente, sebbene negozierà e metterà paletti. Se dalle elezioni italiane emergerà un governo europeista, l’Italia e la Francia otterranno un accordo più avanzato. Se avremo un governo nazionalista l’accordo sarà più arretrato e fatto senza di noi. L’Europa è in mezzo al guado, la corrente è forte. C’è la tentazione di tornare indietro, come mostra la Brexit, in un quadro nazionale che significa declino inevitabile nel quadro di un mondo globale attraversato da crescenti tensioni e in cui contano solo gli Stati di dimensioni continentali, come Usa, Cina, Russia, India. Ma c’è anche la spinta ad andare avanti, a raggiungere l’altra sponda, quella di una vera Unione europea, davvero “unita, sovrana, democratica” come ha proposto Macron. È l’obiettivo iniziale dell’integrazione europea: una vera federazione, un’Europa potenza, in grado di garantire la sicurezza e il benessere dei suoi cittadini e di contare sul piano mondiale.

Il risultato elettorale deciderà su quale opzione getterà il proprio peso l’Italia. Da un lato esiste il rischio di un governo nazionalista che voglia uscire dall'Unione e/o dall'Euro. Ma anche senza arrivare a questo estremo, in un’Europa che ha sdoganato l’idea dell’integrazione differenziata, c'è anche il rischio di rimanere soli in mezzo al guado, nella periferia dell’Europa mentre gli altri vanno avanti. Nel 1994 dopo la vittoria di Berlusconi - che aveva sdoganato per la prima volta i post-fascisti che dal MSI avevano creato AN - uscì la proposta Lamers-Schäuble di fare la moneta unica senza l’Italia. Qualcosa di simile potrebbe accadere nel 2018 se avremo un governo M5S o a trazione leghista, perché nessuno in Europa è disposto a condividere la sovranità con loro. La posta in gioco per l’Italia e l’Europa nelle prossime elezioni è enorme. È bene che gli elettori lo sappiano.

@RobertoCastaldi

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