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La sfida europea per il nuovo governo

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Molti si domandano che cosa sia cambiato tra domenica 27 maggio - quando il Presidente Mattarella, utilizzando i poteri conferitigli dalla Costituzione rispetto alla nomina dei ministri, ha segnalato la necessità di evitare un Ministro dell’Economia che sostenesse l’uscita dalla moneta unica – e giovedì 31 maggio quando ha invece accettato la lista proposta da Conte, in cui il prof. Savona era stato dirottato al Ministero senza portafoglio delle Politiche Europee, con l’inserimento del prof. Tria al Tesoro e lo spostamento di Moavero Milanesi agli Esteri. Se si ragiona in termini meramente domestici è difficile capirlo. Se si affronta la questione in termini europei si coglie molto meglio, ma bisogna comunque ricordare tutto il percorso.

La prima bozza del “contratto” di governo tra Lega e M5S pubblicata dall’Huffington Post il 15 maggio prevedeva la denuncia di 250 miliardi di debito pubblico detenuto dalla BCE e l’uscita dall’Euro. La seconda bozza prevedeva il ritorno alla situazione pre-Maastricht, cioè pre-unione monetaria. Il conseguente crollo della borsa, l’impennata dello spread – con un costo significativo per tutti gli italiani - e la moral suasion di Mattarella hanno portato ad eliminare questi aspetti dall’ultima versione del contratto. Ma il danno per la credibilità dell’Italia sui mercati e tra i partners era già stato fatto.

Mattarella ha collegato esplicitamente lo stop a Savona al Tesoro alla necessità che la decisione dell’uscita dall’euro - che secondo alcuni richiederebbe anche una modifica della costituzione - possa essere presa solo dopo un chiaro, esplicito, ampio dibattito pubblico. In campagna elettorale sia il M5S che la Lega avevano abbassato i toni rispetto all’UE e all’Euro. Ora non potevano uscirne senza averlo detto agli italiani, che probabilmente non li avrebbero votati se si fossero impegnati a uscire dall’euro. Inoltre, ha segnalato con chiarezza che il Presidente non avrebbe controfirmato un decreto per uscire dall’euro. Ovvero, il famoso Piano B del prof. Savona - che prevedeva di tenere segreta l’intenzione di uscire per poi emanare un decreto il venerdì sera a borse chiuse, bloccando tutti i conti, per poi risvegliarsi il lunedì con la nuova lira – non è realizzabile. Tutto ciò ha obbligato il M5S e la Lega a fare ufficialmente marcia indietro. Hanno dovuto sostenere che il Presidente sbagliava, perché loro non avevano nessuna intenzione di uscire dalle moneta unica. Infine hanno dovuto modificare la composizione della squadra di governo.

Moavero Milanesi e Savona possono anche giocare la parte del poliziotto buono e di quello cattivo. Ma in Europa paga la coerenza. È dunque essenziale che il nuovo governo chiarisca subito che intende lavorare sul Piano A di Savona: la riforma e il rafforzamento dell’Unione. Che è coerente con la giusta critica al fatto che l’unione monetaria non può funzionare bene in assenza di un’unione economica e politica. E con la richiesta fatta propria dal M5S di una maggiore democrazia europea, attraverso il rafforzamento del Parlamento europeo e il superamento dell’unanimità nel Consiglio. Si tratta cioè di tornare alla tradizionale linea europeista dell’Italia. E accettare il fatto che su un punto così strutturalmente decisivo per il Paese è normale e positiva una continuità nella linea politica ed una condivisione bipartisan. Si può essere alternativi alle elezioni rispetto ad altri temi, ma mantenendo la consapevolezza dell’indispensabilità dell’ancoraggio europeo per l’Italia, per ragioni geopolitiche, economiche e culturali.

Agli occhi dei partners le due settimane precedenti rendono il nuovo governo poco credibile. Serviranno quindi scelte concrete coerenti con la partecipazione all’Unione monetaria da parte del Ministro del Tesoro. E un impegno costante del Ministro degli Esteri, che dovrà impegnare la propria credibilità personale in ambito europeo. Sarà importante dare rapidamente alcuni segnali di continuità, come continuare il lavoro sul Trattato del Quirinale con la Francia. È fondamentale procedere d’accordo con il Presidente Macron – oltre che collaborare con la Commissione europea - per non perdere il treno della riforma europea da qui alle elezioni europee del 2019. Il Consiglio europeo di fine giugno arriva troppo presto perché si possano prendere decisioni fondamentali. Quello di Sibiu del marzo 2019 all’indomani della Brexit può essere il momento di svolta, come chiede la Commissione. Ma solo se l'Italia avrà credibilità e alleanze su una linea europeista.

@RobertoCastaldi

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