Il Presidente del Consiglio Conte a Davos si è dovuto ancora una volta arrampicare sugli specchi per cercare di attenuare l’isolamento italiano, di rimediare alle improvvide uscite dei suoi vice e di rispondere all’accordo di Aquisgrana tra Francia e Germania. Il problema è che per farlo ha mostrato che l’Italia non ha una linea politica europea coerente. Ha tante posizioni contraddittorie, il che non può che rendere l'Italia inaffidabile e ininfluente nel quadro dell’Unione.

In Italia si è discusso del rinnovo del trattato di amicizia tra Francia e Germania – che non è una novità, visto che esiste dai tempi di Adenauer e De Gaulle - in un'ottica nazionale, se non nazionalista, invece che europea. Come se si fosse completamente persa la consapevolezza che l'amicizia franco-tedesca è centrale per l’Europa per ragioni storiche, politiche ed economiche. La prima Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio mirava a mettere sotto il controllo europeo i bacini carbo-siderurgici della Rhur e della Saar, che erano la base dell’industria pesante e bellica, e per il cui controllo Francia e Germania avevano scatenato 3 guerre in meno di un secolo, tra cui 2 guerre mondiali. La Francia è l’unico Paese fondatore con un seggio permanente nel Consiglio di Sicurezza dell’ONU, e una qualche capacità militare autonoma, a partire dalla force de frappe. La Germania è il motore economico dell’Unione. Perciò senza di loro non si va avanti, e un accordo franco-tedesco è la base - necessaria, ma non sufficiente - da cui partire per arrivare a un più ampio accordo europeo.

L’Italia ha spesso giocato un ruolo decisivo nel definire l’accordo finale, favorita dalla sintonia con la Francia sulle politiche e gli interessi concreti, e con la Germania sulle scelte istituzionali per realizzarle. Portatrice di istanze generali che accomunavano Paesi grandi e piccoli, è stata il campione delle istituzioni sovranazionali, che meno si prestano ad essere dominate dagli interessi di due soli Paesi. È nel quadro intergovernativo che si fanno valere i rapporti di forza nazionali e si manifesta la tendenza alla creazione di un direttorio franco-tedesco, che può essere superata solo in un quadro sovranazionale, democratico e federale.

Dopo il 2008 la sintonia con la Francia ha permesso alcuni passi avanti – ma non tutti quelli sperati e necessari - riguardo al completamento dell’unione economica e monetaria. Così Macron e Gentiloni lavoravano a un trattato del Quirinale di amicizia tra Francia e Italia, per riequilibrare quello franco-tedesco. Ma i continui attacchi alla Francia del governo giallo-nero, che non ha organizzato il consueto vertice bilaterale nel 2018, hanno chiuso questa prospettiva.

L'integrazione politica è indispensabile se gli europei vogliono contare qualcosa nel mondo di oggi. Ma proprio la svolta nazionalista del governo italiano, soprattutto inizialmente appiattito sulle posizioni di Salvini – e il fatto che per mere ragioni elettorali di partito i vice-premier isolino sempre più l’Italia - rende difficile il rafforzamento dell’integrazione europea. Questa linea italiana spinge la Francia a rafforzare i legami bilaterali con la Germania, non potendo contare su una convergenza con l’Italia. Anche a costo di dover cedere a richieste tedesche che non sono centrali per Parigi, come l’obbiettivo di un seggio permanente della Germania nel Consiglio di sicurezza dell’ONU. Peraltro, è una concessione che costa poco, perché ha pochissime possibilità di esser realizzato.

Tale scelta peraltro, fa gioco ala Francia in quanto allontana la prospettiva della trasformazione del seggio francese in un seggio dell’UE, la vera scelta lungimirante, rilanciata strumentalmente da Conte, di fatto bruciandola o comunque rendendola ancora più difficile. Anche perché la strumentalità di questo dibattito è apparente, dato che non tocca le condizioni indispensabili per perseguire un simile obbiettivo. Un seggio europeo richiederebbe una vera politica estera unica dell’UE, cioè un livello di integrazione politica ben maggiore dell’attuale, che non sembra essere la priorità del governo italiano, o almeno dei suoi vicepremier. In sostanza bisognerebbe che questa competenza fosse affidata alla Commissione – l’embrione di un governo federale europeo – e che si decidesse a maggioranza qualificata nel Consiglio. E visto il legame tra la politica estera e quella di sicurezza e difesa – specialmente rispetto ai temi trattati nel Consiglio di Sicurezza, che si occupa del mantenimento della pace di fronte alle crisi internazionali – si dovrebbe procedere nello stesso modo anche in tali campi, rafforzando l’integrazione militare nella prospettiva di creare un esercito e una forza civile europei. Se non si parla di questo, cioè della creazione di una sovranità europea su queste materie, qualunque discorso su un seggio europeo è strumentale e velleitario. Mentre ha una sua concretezza il discorso di una rappresentanza unitaria dell’eurozona nelle organizzazioni economiche internazionali, affidata al Presidente della BCE e alla Commissione, grazie al fatto che esiste una sovranità europea in materia monetaria e commerciale, e in parte in materia economica. E dunque soprattutto su questo fronte che vanno incalzate Francia, Germania e Italia, nell’interesse di tutti gli europei.

Conte ha poi rilanciato lo slogan dell’Europa del popolo, senza dire però come dovrebbe essere riformata l’UE per essere tale. Forse perché difficilmente Salvini, Di Maio e Moavero potrebbero convergere sulla stessa soluzione. L’Europa del popolo (europeo) non può che essere un’Unione in grado di rispondere alle esigenze dei cittadini europei, ovvero un’Unione sovrana e democratica, le cui scelte dipendano dal voto dei cittadini europei. Ciò significa completare la trasformazione dell’Unione in una vera Federazione, tema di un recente intervento del Min. Moavero all’Accademia dei Lincei.

In effetti l’UE è già una sorta di incompleta repubblica federale. Ha un legislativo bicamerale composto dal Parlamento (che rappresenta i cittadini europei ed è da loro eletto direttamente) e dal Consiglio (che rappresenta in governi nazionali), sebbene su alcune materie il Consiglio deliberi all’unanimità e abbia un ruolo preponderante, un’anomalia che va superata in modo generalizzato. Ha un giudiziario federale, la Corte di Giustizia, le cui sentenze sono vincolanti e immediatamente applicabili. Ha una Banca centrale federale, la Banca Centrale Europea, che determina e gestisce la politica monetaria. Ma non ha un vero governo federale. Questo è il deficit democratico, poiché la democrazia è la possibilità per i cittadini di scegliere chi li governa e di cambiarli. Tanto che dividiamo i regimi democratici in parlamentari o presidenziali secondo che l’esecutivo sia scelto attraverso l’elezione del Parlamento e sulla base delle conseguenti maggioranze parlamentari, o mediante l’elezione diretta di un presidente. L’UE ha per ora un esecutivo bicefalo: da un lato la Commissione è l’embrione di un governo parlamentare europea, dovendo avere la fiducia del Parlamento; dall’altro lato il Consiglio Europeo (composto dai Capi di Stato e di governo nazionali) ha funzioni di indirizzo politico, che è un tipico potere del governo. Esistono sistemi federali parlamentari e presidenziali, e si può pensare anche all’evoluzione del Consiglio europeo in una sorta di Presidenza collegiale – come in Svizzera – con poteri simili a quelli del Presidente nei sistemi semi-presidenziali; con la Commissione come governo parlamentare. Così come a una fusione delle presidenze di Commissione e Consiglio con l’elezione diretta di un presidente dell’UE con una forte legittimità democratica e in grado di garantire la coerenza tra l’azione della Commissione e del Consiglio Europeo. E l’altro nodo istituzionale è il superamento dell’unanimità – cioè la dittatura della minoranza - in tutto il sistema decisionale, inclusa la modifica e ratifica dei Trattati. Ovviamente, accanto all’evoluzione istituzionale, altrettanto importante è l’attribuzione di competenze e di poteri al livello federale, che attualmente mancano. A partire da una capacità fiscale e di prestito per creare un vero Tesoro europeo e completare l’unione economica e monetaria; per proseguire con la politica estera, di sicurezza e di difesa, oltre alla politica delle migrazioni (gestione delle frontiere e integrazione dei migranti).

Questa sarebbe l’Europa del popolo, in grado di agire per difendere interessi e valori dei suoi cittadini sul piano mondiale e proteggerli nel quadro della globalizzazione, e in cui sono i cittadini a determinare con il loro voto gli equilibri politici e le politiche pubbliche. Piuttosto diversa dalle posizioni nazionaliste di alcuni dei maggiori esponenti del governo italiano. Le elezioni europee saranno un momento di scontro tra chi vuole costruire una vera sovranità europea dove manca, cioè un'Europa del popolo, ovvero federale e chi vuole tornare alle sovranità nazionali ottocentesche, smantellando la sovranità europea costruita finora. Sembra che le forze di maggioranza si schiereranno dunque contro l'Europa del popolo.

@RobertoCastaldi

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