All’indomani del referendum sulla Brexit che vide la vittoria del Leave, scrissi su questo Blog che la Brexit rischiava di avviare la dissoluzione del Regno Unito, dato che in Scozia ed Irlanda del Nord aveva nettamente vinto il Remain. La narrazione nazionalista, anche di molti media, offriva invece una visione della Brexit come avvio della dissoluzione dell’Unione Europea, come sosteneva anche Donald Trump. E anche vari europeisti lo temevano. Tre anni dopo sappiamo che la Brexit si è rivelata un incubo per il Regno Unito, che ha rafforzato lo spirito europeo in quel Paese, e si è rivelata una sorta di spot per l’Unione Europea. E quanto sta accadendo in Scozia sembra confermare l’analisi a caldo sul futuro del Regno Unito.

Al Parlamento scozzese si è tenuto un dibattito sulla Brexit e il futuro della Scozia, giusto prima della Convention dello Scottish National Party (SNP), che detiene la maggioranza ed esprime il governo scozzese. La prima ministra scozzese Nicola Sturgeon ha denunciato l’attuale stato di caos in cui versa il governo e il sistema politico britannico. Ha ribadito che lo status quo non funziona e va cambiato, dato che l’attuale sistema di governo di Westminster non serve alla Scozia e che la devolution non basta a proteggere gli interessi scozzesi. In particolare, Sturgeon ha ricordato che il 62% degli scozzesi ha votato per il Remain e che la volontà e gli interessi della Scozia sono stati del tutto ignorati dal governo e dal Parlamento di Westminster. Ha ricordato i danni enormi che la Brexit comporterà per la Scozia per molte generazioni e la necessità di agire affinché la Scozia non venga obbligata a uscire dall’UE contro la sua volontà.

In pratica, Sturgeon ha chiesto al governo britannico un nuovo referendum sulla Brexit, che a suo avviso dovrà includere l’opzione di rimanere dentro l’Unione Europea e non solo opzioni diverse di Brexit. Ha rivendicato che lo SNP ha cercato in questi anni di promuovere un compromesso che tutelasse la Scozia senza sconfessare il risultato del referendum, proponendo che il Regno Unito rimanesse nel mercato unico e nell’unione doganale, in modo da ridurre al minimo i danni. E ha denunciato il fatto che il governo britannico e il partito conservatore siano stati del tutto indisponibili per 3 anni a cercare un accordo bipartisan nel Parlamento di Westminster ed un accordo con i governi devoluti. Inoltre, ha attaccato direttamente la premier May, accusata di aver interpretato il referendum come un mandato per una hard Brexit, badando solo agli interessi del Partito Conservatore e al tentativo - peraltro rivelatosi impossibile, come mostrano le continue e umilianti sconfitte del governo in Parlamento sulla Brexit - di tenerlo unito, invece di fare gli interessi generali e trovare una soluzione condivisa.

Sturgeon ha ribadito che il suo primo obiettivo resta quello di bloccare la Brexit per tutto il Regno Unito. È questo l’obiettivo della richiesta di un nuovo referendum. Ora infatti sarebbe possibile una scelta più informata e consapevole da parte dei cittadini britannici, perché sono divenute più chiare le drammatiche conseguenze di una hard Brexit. Inoltre, le bugie su cui si è fondata la campagna per il Leave sono emerse per quelle che erano, e sarà quindi più difficile riproporle. Sturgeon auspica quindi che un nuovo referendum blocchi la Brexit e permetta di rimanere nell’UE.

Ma, se risultasse impossibile invertire la rotta e bloccare la Brexit, Sturgeon si è impegnata ad offrire la possibilità alla Scozia di optare – attraverso un nuovo referendum - per l’indipendenza e la permanenza nell’Unione Europea, invece di rimanere bloccati in un Regno Unito sempre più marginale sul piano europeo e internazionale. Al riguardo Sturgeon ha ricordato che alle precedenti elezioni lo SNP si era impegnato ad un referendum sull’indipendenza se la Scozia fosse stata costretta ad uscire dall’UE contro la sua volontà. E si è impegnata a rispettare la promessa entro questa legislatura scozzese, ovvero entro il 2021. Ma ha ribadito che la scelta deve essere consapevole, e quindi l’eventuale referendum dovrà essere fatta dopo che sia stato chiarito il percorso e il tipo di Brexit, che è ancora oggi completamente ignoto.

Contrariamente a quanto avvenuto per il referendum sull’indipendenza scozzese del 2013 (che vide il fronte indipendentista sconfitto, ma comunque con il 45% dei voti), Sturgeon non intende chiedere prima l’autorizzazione del governo britannico e poi definire la legislazione di dettaglio rispetto al referendum. Anche perché Theresa May si à già ripetutamente detta contraria e il governo britannico non intende autorizzare un simile referendum. Ricordando l’inutilità di un confronto con un governo che a suo avviso non durerà a lungo, Sturgeon intende seguire la via inversa. Prima far approvare entro l’anno dal Parlamento scozzese la legislazione sulle modalità con cui tenere il referendum. E poi, forte del sostegno del suo Parlamento, mettere il governo britannico con le spalle al muro di fronte alla contraddizione che non si può considerare legittimo per il Regno Unito uscire dall’UE attraverso un referendum, e pretendere che anche la Scozia, che ha votato per il Remain esca, senza concedere alla stessa Scozia la possibilità di un referendum per uscire dal Regno Unito e rimanere nell’Unione Europea.

È chiara la speranza di realizzarlo possibilmente in tempo per rimanere dentro l’UE come Stato successore del Regno Unito, senza dover passare per un nuovo negoziato di adesione. Un negoziato che peraltro potrebbe essere rapidissimo, dal momento che la Scozia rispetta già pienamente tutta la normativa europea, essendo già attualmente parte dell’Unione. E di solito lo scoglio maggiore nei negoziati di adesione riguarda proprio i tempi per la trasposizione nei regimi giuridici dei nuovi Stati membri di tutta la legislazione europea pregressa, il cosiddetto acquis communautaire. In passato si temeva che la Spagna avrebbe potuto opporsi all’ingresso della Scozia per non creare un precedente pericoloso rispetto alle aspirazioni della Catalogna, ma in realtà la solidarietà ricevuta sul tema è stata tale da farle superare tale timore.

La tattica di Sturgeon è intelligente. Intanto, si è impegnata a provare a evitare la Brexit per tutto il Regno Unito. Ma ha anche invitato e sfidato i partiti contrari all’indipendenza della Scozia a presentare proposte su cosa e come cambiare, rispetto ad uno status quo che considera insostenibile. E ha proposto di organizzare della assemblee di cittadini e consultazioni con i partiti per cercare una posizione condivisa sul futuro della Scozia. In ogni caso ha rivendicato che la scelta deve essere del popolo scozzese, e che quindi un nuovo referendum sull’indipendenza sarà necessario, in caso di Brexit.

Da un lato quindi il referendum sull’indipendenza scozzese è una minaccia volta ad ottenere dal governo britannico un secondo referendum sulla Brexit, che possa bloccarla. Se ciò avvenisse Sturgeon potrebbe cantare vittoria e far valere il successo e il senso di responsabilità dello SNP. Dall’altro lato - nel caso che non vi sia un secondo referendum o che il Regno Unito esca poi comunque dall’Unione, specialmente in caso di una Brexit che non preveda la permanenza nel mercato unico e nell’unione doganale - Sturgeon si garantisce maggiori probabilità di successo del referendum per l’indipendenza. Infatti esso sarebbe collegato alla permanenza nell’Unione Europea – su cui esiste una larga maggioranza in Scozia – e potrebbe essere presentato come un’ultima ratio, dovuta all’indisponibilità britannica ad un compromesso sulla Brexit che tenesse conto della posizione scozzese. In quel caso la Brexit potrebbe davvero significare la disgregazione del Regno Unito invece che dell’UE.

@RobertoCastaldi

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