L’intervento di Luigi Di Maio di qualche giorno fa su Lotta alla povertà, crescita democratica e lavoro: tre fronti per l’Europa del futuro (link), sancisce un passaggio netto e tutto sommato coraggioso da parte del candidato premier del M5S.

Di Maio ha capito due cose: la prima è che senza un quadro europeo davvero efficiente è impossibile affrontare alcuni dei nodi più importanti che stano a cuore ai cittadini italiani: crescita, lavoro, esercizio della partecipazione democratica. Solo nel quadro di una Unione Europea non più intergovernativa ma finalmente messa nella possibilità di agire come una genuina democrazia multilivello (il riferimento alla necessità di dare centralità del Parlamento, unica camera eletta dai cittadini, rispetto al Consiglio, che rappresenta invece gli Stati; e l’insistenza su forme di coinvolgimento e partecipazione democratica dei cittadini ai processi decisionali) è possibile recuperare quella sovranità persa a livello nazionale e che non ha alcun senso tentare di recuperare a livello nazionale, perché avrebbe dei costi enormi in un mondo dove le dimensioni contano sempre di più. Insomma, solo difendendo gli interessi dell’Europa è possibile difendere anche gli interessi dell’Italia.

La seconda cosa che ha capito, è che se vuol davvero sperare di raccogliere ampi consensi deve accreditarsi come forza, realistica, di governo. E l’Italia non è un paese disposto a transigere sulla sua vocazione europeista. Per quanto questa Europa sia riuscita a rendere euroscettici anche i cittadini più filoeuropei, per quanto questa europea pavida ed intergovernativa abbia dato prova di inettitudine e di meschinità dallo scoppio della crisi dei debiti sovrani in poi, il cittadino italiano sa benissimo che le istituzioni nazionali danno ancora minori garanzie. Rivendicare la trasformazione dell’Europa in un soggetto capace di agire è quindi non solo un modo per raccogliere elettorato moderato, ma anche per rassicurare i partner europei sulla partecipazione piena del nostro paese a qualsiasi serio processo di riforma istituzionale della UE dovesse concretizzarsi nei prossimi mesi.

Quello che colpisce, semmai, sono le timide prese di posizione da parte degli altri partiti. Non solo quelli tradizionalmente più europeisti, schizofrenicamente impegnati nella retorica di una vuota difesa dello status quo ed alternativamente nell’antagonismo a tutto ciò che viene dalla UE. Ma anche quelli che evidentemente ancora non hanno capito che essere all’avanguardia, oggi, significa cambiare le regole della convivenza civile in Europa, non starne fuori, non rinchiudersi nel guscio apparentemente protetto dei confini nazionali (ma solo apparentemente, e solo chi è cieco può riuscire a non vedere le dinamiche di potere che si stanno scatenando a livello globale, tra forme statuali di dimensioni continentali e sistemi politico-amministrativi praticamente ovunque federali).

Il discorso di Di Maio è netto. In linea con Macron e con recenti affermazioni di Martin Schulz, ha ricordato come solo a livello europeo si possono affrontare certe sfide. Che le partite più importanti si giocano lì. Ma anche coraggioso, perché gran parte del suo elettorato è stato finora bombardato di messaggi che indicavano nel recupero di una illusoria sovranità nazionale la panacea di tutti i mali, l’unica strada da battere per la crescita, il lavoro, la solidarietà (e i primi commenti lasciati sul blog al suo intervento non lasciano ben sperare). Non vorremmo che una reazione negativa da parte della “base” spingesse Di Maio a tornare indietro, a rimettersi sui binari dell’ambiguità, solo per inseguire qualche pugno di elettori, piuttosto che cercare di guidarne gli orientamenti, come un vero statista dovrebbe saper fare.

D’altronde, se riuscirà nell’impresa impossibile di avere la botte piena e la moglie ubriaca, non possiamo che rallegrarcene, specialmente se, una volta che dovesse andare al potere, facesse una coerente scelta per la trasformazione dell’Unione Europea in un soggetto davvero democratico e capace di agire.

Posted by Fabio Masini

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