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Le ragioni dell’Europa

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Il 9 maggio è la Festa dell’Europa e in questa settimana si susseguono numerose iniziative sull’Unione Europea da parte delle istituzioni, delle università, del mondo della cultura, della società civile. È importante che questa occasione sia colta, sebbene talvolta si tratti di attività celebrative e un po’ retoriche, che non riescono a contribuire effettivamente alla costruzione di un’Europa unita, che ancora non c’è. In questo quadro spicca dunque l’iniziativa della Gioventù Federalista Europea di organizzare una Contro-Festa dell’Europa davanti a Montecitorio per chiedere la riforma dell’Unione Europea verso la Federazione Europea proposta da Altiero Spinelli e dal Manifesto di Ventotene. L’importanza di questa iniziativa sta proprio nel mettere in rilievo che gli europeisti non sono quelli che si accontentano di difendere lo status quo dell’Unione attuale – anche se è evidente che senza l’UE staremmo molto peggio, ovvero che l’UE già offre fondamentali beni pubblici europei – in una fase in cui i cittadini mostrano di attendersi molto di più dall’UE in termini di sicurezza e benessere. Bensì quelli che si battono per riformarla, per rafforzarla, per metterla davvero in grado di rispondere alle esigenze dei cittadini, affidandole adeguate competenze, poteri e meccanismi decisionali. Non stupisce che sulla stessa lunghezza d'onda sia la presa di posizione del Movimento Federalista Europeo.

Ma facciamo un passo indietro, per ricordare che il 9 Maggio è la Festa dell’Europa in virtù della Dichiarazione Schuman del 9 maggio 1950, in cui l’allora ministro degli esteri francese – su proposta di Jean Monnet – propose alla Germania e agli altri Stati disponibili di condividere la sovranità sul carbone e l’acciaio. Molti erroneamente considerano questa proposta di natura economica. In realtà la sostanza della proposta era di affidare ad un’alta autorità sovranazionale europea i bacini carbo-siderurgici della Rhur e della Saar, per il cui controllo Francia e Germania avevano combattuto tre guerre in un secolo. La prima Comunità Europea, del Carbone e dell’Acciaio, avviò concretamente il processo di integrazione europea, iniziato idealmente con il Manifesto di Ventotene. E fin dall’inizio l’obiettivo era quello di assicurare la pace, lo sviluppo e gradi di autonomia agli europei nel mondo bipolare. Il suo successo ha portato dai Sei Paesi fondatori agli attuali 28, presto 27 a causa della Brexit.

68 anni dopo il cantiere dell’unità europea è ancora aperto, seppure più avanzato, e i suoi lavori non sono finiti. Spesso non ce ne rendiamo conto, ma l’Unione Europea è un’incompleta Repubblica europea. Ha un legislativo bicamerale, sostanzialmente federale, composto dal Parlamento Europeo che rappresenta i cittadini europei e dal Consiglio, che rappresenta gli Stati membri, che votano a maggioranza. Circa il 70% della legislazione vigente è di origine o derivazione comunitaria. Ciò significa che le differenze tra gli Stati membri sono molto meno rilevanti di quello che percepiamo, e che viviamo davvero in un ordinamento giuridico sostanzialmente federale, su cui vigila un giudiziario federale, la Corte di Giustizia, le cui sentenze sono vincolanti e direttamente applicabili. Disponiamo inoltre di una Banca Centrale che batte moneta e gestisce la politica monetaria della 2° moneta ed economia del mondo. Cosa manca dunque per completare i lavori? Da un lato, non è stato sciolto il nodo dell’esecutivo, che è il perno della democrazia. I sistemi democratici sono presidenziali o parlamentari se l’esecutivo discende dall’elezione diretta del Presidente, o dall’elezione del Parlamento al cui interno va formata una maggioranza – anche se in Italia ultimamente molti fingono di non conoscere il funzionamento dei sistemi parlamentari. Nell’UE la Commissione è l’embrione di un governo parlamentare, dovendo ottenere la fiducia del Parlamento. Ma il Consiglio Europeo, composto dai Capi di Stato e di governo nazionali, ha compiti di indirizzo politico, ovvero di governo, e funge un po’ da presidenza collettiva dell’Unione con poteri significativi. Dall’altro permane il voto all’unanimità tra gli Stati membri per tutte le decisioni più importanti - in materia di bilancio, di difesa, di politica estera, fiscale, nonché di riforma e ratifica dei Trattati, ovvero di modifica delle competenze, dei poteri e dei meccanismi decisionali europei – che inevitabilmente porta alla paralisi o a soluzioni di basso profilo. L’UE è schizofrenica: funziona efficacemente nelle competenze in cui la Commissione funge da governo e di decide a maggioranza qualificata nel Consiglio; e non funziona nelle materie in cui si decide all’unanimità e il Consiglio Europeo funge da governo. È logico: la Commissione ha il compito di fare gli interessi di tutti gli europei, mentre nel Consiglio ogni Stato cerca di fare solo propri interessi a scapito di quelli generali e di quelli degli altri Stati.

Ma non è facile comprendere il funzionamento dell’Unione e cogliere le responsabilità dei governi nazionali nel bloccare le proposte lungimiranti delle istituzioni sovranazionali – che per quando belle e utili poi restano solo proposte. Così si attribuisce all’Unione l’austerità decisa dai governi nazionali all’unanimità, mentre Commissione e Parlamento hanno spinto per investimenti (il Piano Juncker), pilastro sociale e solidarietà. E una parte dei cittadini accusano l’UE di non rispondere ai loro bisogni, e i particolare di non assicurare sicurezza e sviluppo.

Questa situazione, questa incompletezza dell’Unione, ha permesso il ritorno dei nazionalismi in salsa populista. Ma il nazionalismo è un’illusione. In ambito globale e di fronte a problemi sempre più transnazionali gli Stati nazionali non possono dare risposte efficaci: l’Italia da sola non può certo stabilizzare l’Africa e controllare i flussi migratori, né tassare e multare Google come ha fatto l’UE. Il nazionalismo è un placebo identitario, che nel medio periodo acuisce i problemi, non li risolve. La politica di Trump né è il miglior esempio. Più che “America first” (prima l’America) sta producendo un “America alone” (l’America sola), con un raffreddamento dei rapporti con gli alleati tradizionali, guerre commerciali e tensioni che stanno riducendo il potere e la capacità egemonica degli USA.

Oggi le ragioni dell’unità sono più forti che mai. L’ascesa della Cina e il declino americano rendono il mondo molto più instabile di prima. Gli Usa non assicurano più la nostra sicurezza. E questo non dipende solo da Trump. La lotta per l’egemonia mondiale è con la Cina. Per questo il focus strategico americano si è spostato strutturalmente verso il Pacifico. È il conseguente vuoto di potere lasciato dagli americani che ha permesso lo sviluppo tutto intorno all’Europa di gravi crisi geopolitiche e militari - dall’Ucraina al Medio Oriente, al Nord Africa. In politica i vuoti di potere tendono a essere colmati. La Russia non è più un potenziale egemone sul piano mondiale, ma paradossalmente questa debolezza le permette di esercitare una politica estera regionale più aggressiva senza provocare una reazione americana. Ecco dunque l’annessione della Crimea, la destabilizzazione dell’Ucraina, la violazione dello spazio aereo baltico, le basi militari e l’intervento in Siria. Nel vuoto del Medio Oriente in fiamme ha potuto svilupparsi l’ISIS, che sebbene sconfitto militarmente sul terreno quasi ovunque, rimarrà una minaccia terroristica significativa. Proprio il disinteresse occidentale per la stabilizzazione del Medio Oriente dove troviamo quasi solo guerre civili, Stati falliti e Stati teocratici, in cui le popolazioni civili sono oppresse e in balia della violenza, è il terreno ideale per il reclutamento terrorista. La situazione africana è anche molto grave e instabile. Tutto questo alimenta significativi flussi migratori e di rifugiati. È evidente che solo con una politica estera, di sicurezza e di difesa uniche a livello europeo possiamo provare ad affrontare strutturalmente il compito della stabilizzazione dell’area di vicinato. La nostra sicurezza è in mano nostra. L’attuale percezione di mancanza di sicurezza non è altro che la dimostrazione dell’impossibilità per gli Stati membri di garantire la sicurezza ai propri cittadini.

La situazione è grave anche dal punto di vista economico. Nell’arco di un decennio nessuno Stato membro farà parte delle maggiori 7 economie del mondo. Gli investimenti necessari per finanziare innovazione, sviluppo e la transizione ad un’economia sostenibile dal punto di visto sociale e ambientale, piuttosto che la tassazione delle multi-nazionali, la regolamentazione della finanza e un governo socialmente sostenibile della globalizzazione sono possibili solo a livello europeo. Basta pensarci un secondo per capire che nella competizione globale contro USA o Cina l’Italia da sola non può farcela. La Brexit non ha ancora avuto luogo, ma già il Regno Unito è passato dall’essere uno dei Paesi che cresceva di più a quello che cresce meno di tutti in Europa – anche meno dell’Italia – e secondo le previsioni dello stesso governo britannico, la Brexit porterà una riduzione della crescita del 5-7% nello scenario migliore. Il rilancio degli investimenti in Europa ha trovato a livello europeo, nel Piano Juncker, il suo volano. E l’Italia è il Paese che ne ha beneficiato di più, in termini di investimenti ricevuti.

Oggi il greggio è arrivato a 75$ al barile. A chi rimpiange la lira ricordo che prima dell’11 settembre del 2001 il greggio era sotto i 20$. Rinunciare allo scudo dell’Euro in una situazione globale instabile come quella attuale sarebbe un suicidio. Così come è l’azione della BCE e del suo quantitative easing che ci sta tenendo al riparo dalla speculazione finanziaria anche in questa fase di incertezza politica seguita alle elezioni. Senza euro e BCE saremmo in grossi guai.

Nel 1950 fu la Francia a dare avvio al processo e oggi Macron propone di portarlo avanti verso un’Europa sovrana, unita e democratica, con una condivisione della sovranità su economia, sicurezza e migranti. Come allora sarà cruciale la risposta di Germania e Italia. Peccato che nel dibattito politico italiano nessuna forza politica sembri rendersi conto del momento storico e della posta in gioco.

Per Toynbee gli europei sono come i greci delle polis di fronte all’impero macedone e poi a quello romano, o come gli abitanti degli staterelli rinascimentali italiani di fronte ai primi Stati moderni europei. Hanno una scelta semplice: unirsi o perire. Machiavelli l’aveva capito e nel Principe invitava i Medici a unire l’Italia, che altrimenti sarebbe divenuta terra di conquista, come puntualmente avvenne. Ebbene, quelle due grandi civiltà europee sono morte, incapaci di superare l’idea che la polis o lo staterello regionale fossero l’unica possibile unità politica. Oggi le grandi potenze sono gli Stati di dimensione continentale, come Usa, Cina, Russia. Per difendere i nostri valori e interessi, garantendoci sviluppo e sicurezza, un governo federale europeo è urgente e indispensabile. Siamo noi cittadini europei che con le nostre scelte e i nostri comportamenti, consapevoli o inconsapevoli, stiamo decidendo se la civiltà europea avrà la forza di unirsi o si rassegnerà ad un rapido declino.

@RobertoCastaldi

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