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La Memoria, che non basta e che non c’è

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Il Giorno della Memoria è un'opportunità importante per ricordare e per riflettere sulla Shoa, sugli errori e gli orrori prodotti dalla civiltà europea moderna nella sua storia e sulle responsabilità che ne derivano affinché non si ripetano. La Memoria è il primo passo, necessario ma non sufficiente. Necessario, specie in Paesi come l'Italia, che i conti con il passato e con le loro responsabilità non li hanno mai fatti fino in fondo. Ma la Memoria da sola non basta ad evitare il riemergere dei demoni del passato: nazionalismo, xenofobia, razzismo. E soprattutto la Memoria non c’è. Negli ultimi anni la nostra società – italiana ed europea - si sta chiudendo in se stessa, rifugge la Memoria e le lezioni della storia.

In Italia ci sono forze politiche che propongono di sveltire e rendere inappellabili le decisioni sulla concessione dello status di rifugiato – e poco tempo fa proponevano di fare respingimenti collettivi in mare, senza nemmeno quindi avere la possibilità di vagliare davvero la richiesta di asilo. Perfino dei leader politici si spingono a sostenere che il fascismo non era così male, salvo alcuni errori. Tanto da costringere il Presidente Mattarella a spiegare che l’entrata in guerra e le leggi razziali non sono derubricabili ad errori, trattandosi di scelte del tutto coerenti con un regime liberticida come quello fascista, e a dover ricordare che le leggi razziali sono una macchia indelebile della nostra storia.

In Ungheria hanno costruito un muro di filo spinato – e di cosa erano fatti i lager? La cattolica Polonia non riconosce nel rifugiato un figlio di Dio ed è disponibile ad accogliere solo cristiani – come se i credenti di altre religioni che fuggono dalle guerre non avessero diritto all’asilo. Perfino in Danimarca - l’unico Stato insignito dell’onorificenza di “Giusta tra le nazioni” per la sua resistenza alla deportazione degli ebrei, quando il monarca dichiarò che si sarebbe appuntato sul petto la stessa di David e avrebbe invitato tutti i danesi a fare altrettanto se i nazisti avessero imposto le leggi razziali, e che si mobilitò per salvare gli ebrei danesi traghettandoli in Svezia nel 1943 - due anni fa il Parlamento ha deciso di sequestrare i beni dei profughi e dei richiedenti asilo oltre i 1300 € per contribuire alle spese della loro accoglienza.

In un contesto del genere riemerge la xenofobia in varie forme e contro vari capri espiatori: i migranti, gli islamici, gli ebrei. Il fatto che vi siano forze politiche e leader che alimentano e cavalcano le paure a fini elettorali mostra che ben poco abbiamo imparato dalle tragedie del passato e che le idee di molti si nutrono di miti piuttosto che di Memoria.

Perché non basta ricordare le vittime della più terribile persecuzione della storia, se poi non si riesce a farsi carico delle vittime delle persecuzioni odierne, e anzi si contribuisce ad alimentarle mettendo la testa sotto la sabbia e non assumendosi le proprie responsabilità individuali e collettive. Ognuno di noi, individualmente ha la possibilità e il dovere nella propria famiglia, sul lavoro, nella propria cerchia sociale di battersi contro ogni forma di razzismo, antisemitismo, xenofobia e discriminazione con la parola e con l’esempio, con la coerenza delle proprie azioni.

Molte delle riflessioni sulla Shoa hanno avuto carattere morale e si sono concentrate sull'unicità dell'Olocausto. Un grande sociologo ebreo tedesco fuggito in tempo dalla Germania, Norbert Elias, ha posto invece alcune domande più generali: cosa ha reso possibile il rapido imbarbarimento della Germania, la società più colta e civile d'Europa? Quali sono i pilastri del processo di civilizzazione, che se vengono meno rendono possibile l'avvio di processi di de-civilizzazione? Quali sono le condizioni in cui si possono effettivamente avviare tali terribili processi? Le sue risposte sono illuminanti anche per guidarci di fronte alle sfide contemporanee e meritano una riflessione.

La Germania del XIX e della prima metà del XX secolo era all'apice della civiltà europea in tutti i campi: basti pensare a Hegel, Feuerbach, Marx, Nietsche, Weber, Schmitt, Goethe, Wagner, e moltissimi altri. Eppure in Germania si è affermato un regime totalitario che ha progettato e meticolosamente realizzato la "soluzione finale". Elias sostiene che il processo di civilizzazione, di progressivo auto-controllo delle pulsioni violente naturalmente implicite nell'animalità degli esseri umani, sono il frutto di una progressiva interiorizzazione delle etero-costrizioni messe in opera dalle leggi e dalle autorità pubbliche. L'efficienza e la stabilità del monopolio della forza dello Stato sono quindi particolarmente importanti da questa prospettiva. Nella Repubblica di Weimar tale monopolio era inefficace e minato dall'esistenza di Gruppi paramilitari legati alle varie forze politiche. E non può stupire che il partito più incline e disponibile all'uso della violenza si sia imposto in tale contesto. Al contempo tale affermazione è potuto avvenire solo in seguito alla crisi del 1929, all'iper-inflazione, ad una situazione in cui le persone non avevano più una prospettiva e una visione positiva per il futuro.

Una situazione simile a quella che stiamo vivendo, pur con molte differenze. È la crisi che per 10 anni ha imperversato in Europa che ha aperto spazi alle forze nazionaliste in salsa populista. Alcune si limitano a cavalcare malcontento e paure; altre si spingono a seminare odio per lucrare consensi, dando voce alle pulsioni alla chiusura della società, alla ricerca di un capro espiatorio per nascondere le nostre responsabilità. Entrambe trovano nell'Unione Europea, cha ambisce ad essere unita nelle diversità, il loro nemico, essendo l'UE fondata sulla tolleranza, sul riconoscimento dell'eguaglianza e delle diversità. È lungi dall'essere perfetta l'UE, ma è un esperimento di messa in comune della sovranità, della creazione di istituzioni comuni per risolvere pacificamente le controversie e per affrontare insieme i problemi comuni: è l'opposto del nazionalismo, della chiusura, della violenza. E dunque è il nemico per i populismi di ogni risma, la cui propaganda sta creando un terreno fertile per la diffusione di stereotipi, pregiudizi e doppi standard che alimentano le tendenze razziste, xenofobe e antisemite.

Per queste ragioni la risposta sul piano della Memoria e/o della morale è necessaria, ma non sufficiente. Occorre anche l'assunzione della responsabilità di offrire una visione e una prospettiva costruttiva per superare la crisi, per ridare speranza, in modo da incanalare le forze della società verso un cambiamento positivo, invece che in una spirale depressiva che si manifesta nelle tendenze alla chiusura legate alla percezione di un declino inevitabile e irreversibile. Questa prospettiva e questa visione non può che essere l'Europa: un'Europa diversa, più unità, più democratica, più solidale, più rispettosa dei diritti umani e quindi più accogliente per le sue diversità e per i suoi cittadini, vecchi e nuovi. Solo la prospettiva di un governo federale dell'UE, o almeno dell'Eurozona, in grado di mettere a frutto le enormi potenzialità dell'Europa rilanciando sviluppo e occupazione può incanalare le energie vive della società ridandole speranza.

Per questo mi sembra una scelta bella e simbolica quella del Movimento Federalista Europeo di organizzare la Convenzione per la Federazione europea. Il ruolo e le responsabilità dell’Italia proprio in occasione del Giorno della Memoria.

@RobertoCastaldi

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